#TUTTO E' QUI PER TE - Fabio Volo



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"Ti stavo cercando da una vita" le avevo detto davanti a un tramonto infuocato a Bali.

Ho un'immaginazione molto fervida, che si diverte a creare film improbabili. 

Ero così anche da bambino, non sono mai guarito.

A letto, prima di addormentarmi, mi è calata addosso la tristezza dei sogni svaniti. Ripensavo ancora al nostro incontro.


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Con lei non c'erano mai irrisolti o ambiguità. Aveva bisogno che tutto fosse chiaro e senza malintesi. Amava dare un nome alle cose, sapere dov'era e dove stava andando. Doveva avere la situazione sotto controllo e questo la costringeva a chiedere sempre chiarimenti quando le cose non erano definite.

Se Beatrice fosse un vino sarebbe un Verdicchio in anfora della zona di Cupramontana, elegante, armonico, senza compromessi.


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Di lei ho sempre amato le cose che cercava di tenere nascoste.


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«Quando si ha paura si sbaglia sempre. E come quando cucini il riso. Anche se l'hai fatto mille volte, ti sembra sempre poco e alla fine continui ad aggiungere qualche pugnetto finché non diventa troppo. E la paura di restare con la fame a farti sbagliare.»


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Da fuori ha iniziato a filtrare la luce del giorno, era arrivato il mattino senza che me ne accorgessi.

Sono andato in camera, mi sono seduto sul lato dove dormiva Beatrice. Ha aperto gli occhi, le ho scostato i capelli dal viso, le ho accarezzato una guan-cia, ci guardavamo senza parlare. Eravamo entrambi stanchi, appesantiti, legati a qualcosa di invisibile a cui non sapevamo neppure dare un nome ma che ci toglieva forza, leggerezza. Non era colpa di nessuno e nessuno voleva trovare un colpevole.

I suoi occhi sono diventati lucidi, una lacrima è scesa bagnando il cuscino.

In quel momento abbiamo capito che era finita, qualcosa tra noi era andato perso per sempre. Eravamo esausti e ci siamo arresi.


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Si è voltata un attimo, non scorderò mai l'espressione del suo viso, si leggeva un dolore che immagino fosse simile al mio.

Avrei voluto avvicinarmi, cancellare quella brutta situazione, tutte le tensioni, le incomprensioni. Sapevo che non era possibile, quel passo era inevitabile.

Nella vita bisogna essere all'altezza del proprio dolore. Scappare o continuare a mentire o cercare scorciatoie non era più una scelta possibile.


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 «Spesso le persone dicono di amarti e di voler stare con te perché vogliono il tuo bene, in realtà sono stanche di stare nel loro male. Sono davvero convinte che quello che sentono sia un bene, invece è solo un grido di speranza».


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Ho avuto un sussulto. Siamo usciti dal locale. Appena fuori l'ho afferrata per un polso e l'ho baciata con tutto il desiderio e la passione del mondo.

Siamo andati da me. Ho preparato due gin tonic, dopo il primo sorso ho appoggiato il bicchiere sul tavolo, l'ho sollevata e portata sul divano. Non è alta, ha avvinghiato le braccia intorno al mio collo e le gambe intorno alla vita, come un koala. Non mi servivano nemmeno le mani per tenerla.


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Era tutto illogico, inaspettato, assurdo, per molte cose senza senso. Eppure la freschezza, la passione, l'intensità che vivevo stando con lei alla fine l'hanno avuta vinta sulla ragione. E questo valeva anche per lei, almeno così mi aveva detto.

Senza doverci spiegare nulla, abbiamo scelto di seguire il nostro sentire. In maniera del tutto inaspettata ci siamo ritrovati dentro una storia che per me e per lei, in qualche modo, era amore.


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«Quando ci si lascia si hanno un sacco di idee sulla separazione, col tempo si riesce a vedere la situazione da prospettive diverse. Più uno scava più capisce che dietro a certi comportamenti ci sono cause lontane, lontanissime. E le responsabilità iniziano a distribuirsi in svariate direzioni.»

Mi guardava, aspettava che dicessi qualcosa. Mi sono appoggiato al tavolo con i gomiti per avvicinarmi, ho accennato un sorriso guardandola negli occhi. «Mi ha lasciato perché mi ha visto dentro.» E scoppiata a ridere. «Questa te la rubo.»

«Lo dice Hugh Grant a Julia Robert in Notting Hill.»


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«Posso essere una discesa o una salita, dipende da che parte mi prendi». Ed è scoppiata a ridere. Poi, ha aggiunto ancora: «Ma c'è una cosa che tutti possono dire di me».

«Quale?»

«Che sono indimenticabile.»

Si faceva i complimenti con ironia, però si capiva che lo pensava davvero. Perché lei scherzava della sua vanità, e allo stesso tempo la amava.


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Nei giorni a seguire, Lucia abitava i miei pensieri per la maggior parte del tempo. L'incontro con lei mi dava la sensazione di aver ritrovato qualcosa di prezioso. Forse ha ragione chi dice che anche il cuore ha una memoria, probabilmente il mio ricordava

tutto di noi.


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Mentre appoggiava il bicchiere sul tavolo mi ha chiesto, a bruciapelo: «Poi, quel libro, lo hai più scritto?».

Non pensavo nemmeno se lo ricordasse. Ho risposto imbarazzato: «Ho scoperto di non esserne capace.

«Molti diventano scrittori in tarda età» ha insistito.

«Sono già in tarda età» ho detto ridendo.

Mi ha sorriso, piena di dolcezza. «Chi può dirlo,

Luca? Magari ti sbagli.»

È sempre stata così, Lucia ha sempre parlato all'uomo che non pensavo di essere. Mi attribuiva qualità e capacità che sapevo di non avere, ma che a un certo punto ho iniziato a desiderare. Ho desiderato essere la persona che vedeva in me, e non ne sono stato capace.

«L'altro giorno ho capito cosa mi è mancato di te»

le ho detto.

Mi ha guardato. «Non sapevo ti fosse mancato

qualcosa di me.»

«Sentirti pronunciare il mio nome.»


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«Al di là di come sia andata tra noi» si è alzata per buttare il tovagliolo di carta nel cestino, «sei stato una delle persone più importanti della mia vita.


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Davanti al portone di casa le ho dato un abbraccio accennato.

«Grazie per la serata, e per i fiori.»

L'ho guardata, ho provato un fortissimo desiderio di baciarla. Senza nemmeno pensarci mi è uscito: «Vieni a Parigi il prossimo weekend. Passiamo del tempo insieme, torniamo a essere i due che siamo stati».

Ha alzato gli occhi su di me. «Quei due non esistono più.»

«Possiamo vedere cosa è rimasto di quei due.»

Aveva un sorriso piccolo e pieno di dolcezza. «Sai cosa penso del libro che non hai scritto?» mi ha detto eludendo la mia domanda. «Che se lo avessi scritto allora non sarebbe così bello come se lo scrivessi ora, ora che sei diventato un uomo meraviglioso.» Ha aspettato un momento prima di aggiungere: «Luca, questo è il luogo, questo è il momento».

Anch io lo sentivo, e non soltanto rispetto al mio sogno incompiuto, al libro che non avevo portato a termine, lo sentivo più di ogni altra cosa rispetto a noi due. «Vieni a Parigi.»

È rimasta ferma, senza distogliere lo sguardo dal mio. «Magari un'altra volta.»


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<<Trovi che sia davvero così importante come un uomo guarda una donna?»

«È tutto. Non solo con le donne, nella vita in genere. Perché come guardiamo dice ciò che siamo. Ci sono uomini che ti guardano e senti che lui ha già capito tutto di te. Ti ha vista. È uno sguardo che ti inchioda perché nei suoi occhi c'è la donna che sei.»


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«E adesso?» le ho chiesto.

Senza voltarsi, mi ha risposto che a un certo punto della sua vita aveva scelto di avere solo amicizie speciali, persone con cui condivide cene, viaggi, weekend e attimi di intimità, ma nessuna storia d'amore, nessuna esclusiva, e soprattutto ognuno a casa propria, nessuna convivenza. «Sai perché?» Mi ha guardato. «Perché in amore prima o poi uno dei due vuole vincere o aver ragione, mentre in amicizia questo non accade mai.»


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<<Non scrivermi cosa deciderai di fare.»

«È tutto?»

«E tutto.» L'ho salutata. Dopo un paio d'ore le ho mandato un ultimo messaggio: "Vorrei solo tornare al punto dove ci siamo fermati".


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«Alla fine siamo anche le strade che non abbiamo scelto» ho detto.


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«Les seuls beaux yeux sont ceux qui vous regardent avec tendresse.»

Gli unici occhi belli sono quelli che ti guardano con tenerezza.


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<<ti piace la casa in ordine?» Il suo stupore

era genuino.

«Mi piace solo all'inizio, dopo qualche giorno mi sembra tutto morto, mentre nella confusione ho la sensazione che stia accadendo qualcosa. C'è più vita nel disordine.»


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«Sai cosa mi ha sempre fatto arrabbiare se penso a noi? Il fatto che non abbia funzionato per motivi piccoli, futili».


Non sapevo come rispondere, me ne sono uscito con una battuta banale: «Pensa se fossero stati grandi».

«Sarebbe stato più facile. Perché, quando sono grandi e complessi, o rinunci o lo accetti. Ma quando sono così, sai che sarebbe bastato poco e non ti dai pace.»


Con il cucchiaio di legno in una mano si è girata verso di me, si è avvicinata e mi ha accarezzato il viso. «Non mi guardare così.»

«Ti guarderò sempre così, è l'unico modo che conosco con te.»



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«In questi anni ho pensato spesso a noi» ha detto, immobile. Mi è sembrato che si stesse aprendo, più volte avevo avuto il dubbio che il nostro riavvicinamento fosse stato un desiderio solo mio.

«Mi sono aggrappata al ricordo di noi ogni volta che avevo una difficoltà, come se il destino di quei due fosse il destino che avrei dovuto seguire. Ogni tanto chiudevo gli occhi e immaginavo i momenti insieme che non abbiamo vissuto. Quando ero incinta mi è capitato anche di chiedermi come sarebbe stato se fosse stato tuo. E sai perché quei momenti erano perfetti?»

«Perché siamo fatti per stare insieme» le ho risposto subito.


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Ogni tanto ci sfioravamo, ci davamo una carezza, un abbraccio, un sorriso, tutto punteggiato di piccoli baci che sapevano di vino.

Mi sembrava davvero di vedere quei due di tanti anni prima.


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La magia che avevamo sempre vissuto da ragazzi era ancora lì. E aveva ragione lei, tutto era ancora più bello. «Sai qual è l'espressione con cui definirei quello che provo quando siamo insieme?»

Sorrideva. «Sentiamo.»

«Da sempre per sempre." Perché è uguale dalla prima volta che ti ho visto.»

«Mi piace» ha detto lei.


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Il tempo con lei stava cambiando la mia vita, non riuscivo a ricordare se fossi mai stato così bene con una donna. Con Beatrice non aveva funzionato perché io ero destinato a Lucia.

Siamo rimasti a guardare il cielo qualche secon-do, poi l'ho baciata. «Da sempre per sempre» le ho sussurrato.


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Sembravamo quelli di Venezia, stessa complicità, armonia, nessuno sforzo per stare insieme.

«E se in realtà non ci fossimo mai separati?» le ho detto.

Senza smettere di soffiare sulla tazza mi ha risposto: «Ci ho pensato ogni tanto, eravamo molto giovani, non so come sarebbe andata».

«Non intendo in quel senso, voglio dire che forse, in un certo modo, non ci siamo mai veramente lasciati.»

Le nostre vite sono state un viaggio circolare, più ci allontanavamo più ci stavamo avvicinando di nuovo.

«Come se una mattina fossimo usciti di casa e adesso fossimo tornati.»


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«Perché deve finire qui? È questo che non capisco.»

«Perché la vita non è un fine settimana romantico a Parigi.»


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<<Tu vedi una parte di me di cui mio marito non sospetta nemmeno l'esistenza. Quando sono con te è come se il resto della mia vita fosse una recita e il tempo che passiamo insieme reale.»


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Poteva essere un gioco divertente, e se dovevo giocare tu eri la persona perfetta.

Sei quello di passaggio, come eri tornato saresti andato via. È così che fai».


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«Ho accettato di passare quei giorni con te anche se era chiaro che eri la cosa sbagliata di cui avevo bisogno.»


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Si è voltata verso il cameriere per chiedere dell'acqua frizzante. L'ho guardata, era ancora più bella, diversa ma non riuscivo a capire in cosa. A parte i capelli più corti era sempre lei, e in realtà un'altra persona.


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«Un'immagine in particolare mi ha aiutato molto a capire. Me l'ha suggerita l'analista durante una seduta. Hai presente quando bevi il caffè al bar e senza che te ne accorgi ti resta una piccola macchia sul naso? Finché non sei davanti a uno specchio, non hai la più pallida idea di averla. Tu sei stato il mio specchio, grazie a te io ho visto delle cose di me che non mi piacevano. Solo che invece di pulirmi il viso mi sono ostinata a voler pulire lo specchio.»


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Beatrice ha proseguito: «C'è una cosa che ho odiato più di tutte».

Parlavamo apertamente di noi, senza nessuna rivendicazione. Eravamo comprensivi, non essere più coinvolti ci permetteva chiarezza e lucidità, fuori dalla nebbia in cui ci eravamo trovati.

«Spara.»

«Quando mi hai detto: "Beatrice, meriti di essere felice e se pensi che la tua felicità sia altrove è giusto che tu vada".

.» Ricordavo quelle parole, mi ero

sentito molto civile dicendole, evoluto.

«Eri un muro di gomma, non sapevo più cosa inventarmi per avere una tua reazione. E invece incassavi tutto senza fare una piega.»

Ascoltandola si capiva che su questi 

argomenti aveva riflettuto a lungo.


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Con una sorta di pudore, che forse era più una delicatezza nei miei confronti, ha detto: «Riattraversando tante situazioni che abbiamo vissuto insieme, ho avuto la sensazione che tu fossi guidato da un motore, che è più forte di tutti gli altri, a volte anche dell'amore».

Ero completamente assorbito dalle sue parole. «Il bisogno di sentirti speciale, di ricevere sguardi ammirati, grati, di sentirti dire che sei bravo, e buono.

Ecco, per ottenerlo, per compiacere chi hai intorno, sei capace di mettere in scena anche cose che non senti davvero, sei capace di costruire grandi teatrini, ma poi, quando si tratta di mettersi davvero in gioco, non ci sei. È come se tirassi una pallina contro un muro e non affrontassi mai un avversario reale.»


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Ci tenevo però a dire ancora qualcosa, mi sembrava che mancasse una chiusura: «È stato faticoso lasciarci, non era semplice separarsi dal passato vissuto insieme».

Mi ha guardato, ha sorriso. «Per me la cosa più dura non era rinunciare al passato, ma al futuro che mi ero immaginata con te.»


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<<Perciò sono grata per ogni minuto passato con te».

Era un addio definitivo, mi stava dicendo che non ci sarebbe mai stata una minima possibilità per noi.


All'improvviso avevo voglia di piangere, se ne deve essere accorta, perché mi ha abbracciato, mi ha accarezzato il viso e mi ha dato un bacio sulla bocca, un bacio piccolo, quasi uno sfioramento. Ho chiuso gli occhi un istante, per farlo dilatare tanto da sembrare un' eternità.

Ho sentito l'impulso di stringerla, portarla a letto e rimanere con lei, non per fare l'amore, per sentire il calore della sua pelle, del suo corpo sul mio.

Ho desiderato che non ci fossimo lasciati, ho desiderato vivere ancora lì con lei. Rivolevo la nostra vita insieme.

Ho aperto gli occhi, i suoi erano lì ad aspettarmi.

In quell'istante, l'uno di fronte all'altra, abbiamo sentito la voragine che ci separava. Quello che c'era stato tra noi era un ricordo lontano e tutti i nodi che ci avevano tenuti insieme si erano sciolti.

Non c'era spazio per nessun dubbio e nessuna nostalgia. Sono andato verso la porta, lei mi ha accompagnato in silenzio finché non l'ho chiusa dietro di me. Il rumore mi è risuonato nella testa per ore.


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«Gran parte del nostro dolore e delle nostre insoddisfazioni vengono quando non avviene questo, quando sentiamo che dentro di noi c'è una bellezza che non si è realizzata».


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A Parigi, quando le avevo detto che da ragazzo ero innamorato pazzo di lei, aveva scosso la testa sorridendo: «Eri innamorato di un'idea di noi, dei tuoi grandi gesti, dei tuoi fuochi d'artificio. A me non servivano i fuochi d'artificio, mi bastavi tu».


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Poi è stato come se un suono, un sibilo, mi avesse attraversato la testa e l'avesse svuotata completamente. Lucia ha spinto la bicicletta, ho fatto un passo indietro e l'ho lasciata andare.

L'ho guardata uscire dal portone, una silhouette che scompariva in controluce.


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«Ogni silenzio ha la sua cosa da dire. E a me ha detto una cosa importante.»

Ho aspettato che proseguisse.

«Che apprezzo di più le cose quando mi mancano.»


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«Cosa intendi?»

«Hai presente quando fai una cosa o stai con una persona e ti accorgi che sono passate ore mentre eri convinto fossero pochi minuti?


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Ho acceso l'auto e una voce dentro di me ha detto: "Stai scappando".

«Sì, e allora?» Ormai parlavo da solo, pura follia.

L'ansia cresceva sempre di più, la sentivo sul petto come una pietra pesante che mi impediva di respi-rare. Ho abbassato il finestrino, la pioggia è entrata subito, non mi importava, ne andava della mia vita.


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Per la prima volta, ho deciso di rimanere e di attraversare quella difficoltà, senza cercare di evitar-la. Ancora non sapevo una cosa che avrei imparato più avanti: la soluzione di un dolore è dentro il dolore stesso, non va cercata altrove.

Il buio da cui ero avvolto faceva affiorare le mie paure più intime. La solitudine che sentivo era ampia, vasta e profonda. Sentivo una sorta di malessere verso tutto, una specie di estraneità rispetto a me stesso e la mia stessa vita. Era come se non riconoscessi nessuna delle decisioni che avevo preso fino a quel momento, come se fosse stato un altro me a scegliere e agire. Tutto mi è sembrato un fallimento, le relazioni finite, i sogni che avevo abbandonato, le speranze ormai perse.


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Ho chiuso gli occhi, ho fatto un lungo respiro e l'ho lasciata andare. Ero così leggero che per un istante mi è sembrato perfino di non percepire più il corpo fisico.

Il cielo iniziava a schiarire, è diventato blu e poi si è tinto di ogni sfumatura possibile, indaco, azzurro, verde, arancio, giallo.

Tutto avveniva senza clamore, c'era una pace che non avevo mai provato prima. Il buio se n'era anda-to, portandosi via tutti i miei demoni.

Per la prima volta, senza fare niente per meritarlo, ho sentito di appartenere a quella bellezza, vibravo insieme a lei. Il senso di solitudine che mi aveva accompagnato per tutta la vita si era dissolto.

Appena prima che spuntasse il sole, una brezza leggera ha accarezzato ogni cosa che incontrava, cespugli, rami, foglie, l'amaca sotto la pianta, come un brivido, come un fremito della terra. Tutto aveva il sapore di un nuovo inizio.


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Mi sono liberato dalla convinzione che per essere amato dovessi essere speciale, mettere in scena un personaggio. Alla fine, a forza di essere un altro, mi ero perso.


Ornella mi fissava ed era seria, forse la sua preoccupazione era reale. Sapevo che mi voleva bene. Un bene sincero, vero, autentico.


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«Hai presente la storiella delle farfalle?»

Ha scosso la testa.

«Se le insegui scappano, ma se coltivi un bel giardino saranno loro a venire da te.» Mi ascoltava in silenzio. 

«Nella vita si attraggono le cose in base a ciò che siamo e non a ciò che vogliamo. E poi, come mi hai sempre detto tu, essere felici rende irresistibili. Sono sicuro che quando sarà il momento arriverà qualcuno con cui condividere la mia felicità.» Ornella ha sorriso, un sorriso nuovo, dolce, che non avevo mai visto sul suo viso.




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