#VITA PRECARIA E AMORE ETERNO - Mario Desiati


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Stasera, quando tornerai a casa dalla persona che sei sicuro di amare, potresti avere una percezione approssimativa, ma piuttosto reale, del paradiso. Come ti parla, come ti bacia, come ride, come gode, come mangia. L'odore che porta addosso dopo aver sudato e la sua espressione dopo che l'hai appena amata.


Pag 21


Crescevo e avevo in testa di volare. Perché ho sempre avuto paura degli aerei, ho paura dell'aria e dello stesso concetto di non tenere i piedi per terra. Quell'idea di non conoscere altra via di scampo che un salto netto.

Di queste paure e di tante altre ho sempre pensato di dover tenere un taccuino aggiornato, il più possibile. Segnarci sopra le tappe, quelle di cui non ho più paura, del mio primo aereo, del mio primo volo.

Segnare su questo quaderno perfetto dai quadretti perfetti il giorno che ho smesso di aver paura di morire.

Il giorno che ho cominciato ad aspettare di morire.

E i mesi che mi sono esercitato a morire.

Sono cresciuto, sempre di più.


Pag 34

Musica ovattata, cuffie stroboscopiche, monitor ai cristalli liquidi si aprono come virginali e dozzinali adolescenti dall'alito di caramello e Marlboro rosse. Tutto sembra in completa armonia come la mia Toni amata. Non appena dopo il decollo tutto trema, senti le orecchie implodere, le voci smorzate, le cose che stanno a terra sempre più piccole, come i tuoi pensieri. È questa la particola infinitesimale e concentrata di quello che si chiama paura.


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Un'unica indefinita persona, aderivamo sul sedile del passeggero. I nostri respiri all'unisono scandivano quel tempo infinito di pace e amore. Potevo chiudere gli occhi con i suoi capelli neri in bocca e quell'odore intenso di vaniglia e talco. Il suo corpo chiuso a riccio, con un disperato bisogno di protezione, da quello strepitoso fallito che ancora non ero, ma che mi avviavo a essere. In quella bambagia di stoffa ruvida e plastica automobilistica mi chiedeva di parlare, di qualunque cosa, di raccontare tutto quello che non le avevo mai raccontato.


Pag 43

Parlavi tutto difficile, il succo del discorso era "leccami".

E tu ancora.

«È il cristianesimo che ridefinisce il significato di astrazione, amore come riproduzione e basta, niente godimento e felicità.»

Poi mugolavi poi mormoravi dentro di te una frase senza signi-ficato. E infine mi abbagliavi con gli occhi chiusi, le dita serrate sulla pelle della mia schiena: «Perdio, adesso stammi dentro Martino!», con tutto il mio corpo cercavo i segnali del tuo piacere, le orecchie tese, gli occhi spalancati, il battito cardiaco rallentato.

E finiva con io che ti morivo dentro.

Cadevo dentro. Precipitavo dentro.

Affondavo dentro la tua pancia la mia civiltà, la mia percezione del gusto, i miei principi democratici e quasi trent'anni di mio senso del pudore.


Pag 65

Il rapporto con noi intessuto tramite stati di trance e sedute spiritiche metterà in luce che Toni e io continuiamo ad amarci anche lassù nell'alto dei cieli o laggiù nel basso degli inferi dei gironi di golosi e lussuriosi.

E sosterrà che l'amore è eterno, seppure sia amore fisico di due giovani bellissimi, dinamici e completamente disinteressati alla società contemporanea della televisione commerciale. E saremo così due splendide icone e nessuno saprà che quando siamo andati via abbiamo fatto odore di carogna e vermi.


Pag 79

 La forma del suo corpo gonfiava le lenzuola, il rumore del suo respiro scandiva i secondi.

L'odore, lo spazio, il movimento, l'ordine oggettivo, non lo togli infilando quattro foto dentro un tiretto. Quello resta. Ogni oggetto, ognuna delle quattro mura, la spalliera del letto, le lampade sul comodino, i braccioli delle poltrone, le ruote delle sedie girevoli, le gambe della scrivania, ogni oggetto minutissimo che fosse stato sfiorato da Toni trasudava Toni.


Pag 97

Il bacio non finiva mai, fu un bacio superficiale, fatto di labbra su labbra, dove le lingue non osavano e riposavano dentro l'armatura dei denti e del palato. Ma fu il bacio che entrambi non avrebbero dimenticato mai, che li accompagnò nel corso degli anni successivi, quando le cose sembravano andare male, o semplicemente erano meno emozionanti di sempre. Bastava pensare a quel bacio di Capodanno sotto la pioggia di fuoco e l'aria salina del mare di Rocca San Martino per vivere meglio.


Pag 105

Odio dunque sono.

Odio perché ho dolore. Il dolore occidentalizzato, di chi ha avuto tutto nella vita e poi gli è stato tolto tutto, da quattro topi d'appartamento, da chi mi dà questo lavoro, precario, insicuro e pericoloso senza futuro.

Odio perché mi manchi, perché in stazione le coppie si baciano e si abbracciano, si salutano e si lasciano, ma poi si rivedono il giorno dopo.

Odio perché non mi resta altro nella vita che aspettarti. Perché non ti tengo qui a fianco.

Ti odio perché sei lì.


Pag 127

Anche io avrei voglia di fare un bagno con te. Toni, Toni mia, vorrei sprofondare nel liquido amniotico assieme a te, prenderti dentro San Lorenzo riempita d'acqua, come un enorme fondale marino. Il cielo sarebbe fatto d'acqua, vedremmo il sole e la sua immagine vacillante attraverso la superficie verde e celeste dell'abisso marino.

Toni, ti amerei anche in un immenso acquario, ti scoperei da nuotatrice e da sirena. Toni votiva. Toni in contemplazione. Toni adorante. Toni immacolata. Toni annunciata. Come quelle foto del giorno del tuo venticinquesimo compleanno. Con la corona rossa in testa e lo sguardo perso nel vuoto in ironica estasi mistica. Sento le parole di Toni, gli occhi di Toni addosso, le sue mani, il suo odore fortissimo, il suo sentimento, la sua cognizione della morte.

Ho voglia di sentirla. La sua lingua sulle labbra e sul palato.

Il quasi impercettibile difetto nella pronuncia delle labiali per cui la prendo in giro fino a farla arrabbiare.


Pag 142

Quei libri erano i miei nemici. Ogni libro era una scopata in meno con Toni, ogni libro finito cambiava le parole delle nostre discussioni, non potevo stare a sentire sulla sua bocca parole che non fossero le sue.

Sfilavo alcuni dei libri dalla schiera e li aprivo. Ne sentivo l'odore, ci cacciavo dentro il naso e pensavo alla mano e al corpo di Toni che lambivano quegli stessi libri presi tra le mie mani.

Nell'aprirli e consultarli si spalancava ai miei occhi un modo possibile del mio amore.

Rinvengo il libro della Plath da cui questi versi sono tratti. E in fondo a una pila di volumi poggiati in orizzontale. Lo apro.

Proprio quei versi della Plath sono sottolineati con i tratti blu di un pennarello:

La pace è tanto grande che abbaglia.

E non chiede granché, una targhetta, poca roba.


Pag 153

Per me il sonno era la verità, tutto quello che partoriva, sogni, incubi, mal di pancia e capitomboli giù dal letto.

Quello era la mia vita.

Poi c'è stata solo Toni, quel letto non era più l'innocenza di una polluzione o di un ragguaglio sull'ultimo incubo. Divenne un giaciglio di inconfessabili segreti. Mentre le cospargevo la spalla di spuma alla vaniglia, lei tranquilla mi parlava dei suoi amanti passati, si lisciava i capelli o se li legava a crocchia per non morderli.


Pag 178

C'è andato a vedere gli aerei che decollano, con i loro musi luccicanti che puntano il cielo, incrociando dentro le nuvole le onde serene dell'azzurro. E poi ad aspettarla.

Sotto braccio a sua madre chiede come è vestita Toni.

«È bellissima» gli dice.




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