#COME UN ANIMALE - Filippo Nicosia


Pag 29

«Non dire più niente. Più che altro sai che sei l'unica persona al mondo a non avere un cellulare?» ha detto.

«Credo di sì.»

«Posso chiederti perché?»

«Non squillerebbe mai.»

Ha sorriso, incerta su cosa fare di quella risposta. Sono andato via con una scusa, avevo voglia di stare da solo.


Pag 40

Regola numero uno: se osservi attentamente, bastano cinque minuti per conoscere qualcosa.

Regola numero due: se osservi attentamente, non bastano cinquant'anni per conoscere qualcosa.


Pag 42

Ho provato a scrivere qualcosa ma il foglio è rimasto bianco.


Pag 48

«Se hai già un impegno possiamo fare un'altra volta» ha

tagliato corto Silvy.

«No, no, nessun impegno...» Ho cercato le parole per dirle che avevo voglia di starmene da solo, ma allo stesso tempo una parte di me voleva tornare nella sua cucina, assaggiare il cibo che le sue mani avrebbero preparato, infilare le mie gambe sotto lo stesso tavolo per sentire le sue ginocchia più vicine alle mie.


Pag 62

Prima di rientrare ho raccolto le bottiglie, che erano rimaste sul muretto.

In quella di Silvy era avanzata un po' di birra. L'ho bevuta fino all'ultima goccia, calda e ormai sgasata. Ho lasciato le labbra sul collo della bottiglia, ma il sapore di Silvy era svanito. Un bacio - avrei dovuto saperlo - non lascia traccia. È possibile ricordare la levigatezza della pelle, l'odore dei capelli, gli umori del sesso, gli ansimi e i gemiti, il loro crescendo, il ritmo, le carezze: tutto questo potevo ricordarlo di Carla e delle poche altre donne con cui avevo diviso il Letto. Ma non i baci: per quanto mi sforzassi, i baci mi sfuggivano sempre. Troppo profonde e porose le labbra, troppo complessi l'incontro, l'incastro, la dinamica, troppo assurda la pretesa di scambiarsi con un contatto ogni parte di sé.


Pag 78

Sono entrato e l'ho baciata sulla bocca. Sentivo le sue mani premere sul mio corpo: la schiena, i fianchi, il ventre. Quella pressione voluttuosa scacciava il freddo che avevo dentro, se non per sempre, almeno per un istante. Siamo finiti in ginocchio e poi sdraiati sul tappeto. Ho fatto per abbassare la cerniera dei pantaloni e l'ho guardata: nuda, sudata. In quell'istante ho colto un'espressione di paura nel suo viso, una paura che conoscevo bene, in cui mi rispecchiavo.


Pag 103

«Allora noi andiamo» ha detto Silvy.

«Anche io amo ancora un'altra donna» ho detto.

Lei ha abbassato lo sguardo scuotendo un poco la testa, poi ha chiamato Maria.

Mi si è avvicinata e ha poggiato la sua guancia contro la mia restando così per qualche secondo.

«Ovunque sia, è una donna fortunata» ha sussurrato.

L'ho guardata camminare con i suoi stivali marroni da cowboy mentre lasciava la villa. Maria mi ha salutato con la mano mentre Black Jack correva, annusava e masticava tutti i rifiuti accumulati ai lati della stradina. Mi sono ripromesso di non vederla mai più.


Pag 164

Quando mi ha lasciato di fronte al cancello della villa, Luisa — era così che si chiamava - mi ha chiesto se avessi programmi per la mezzanotte invitandomi a una festa da alcuni suoi amici. Io ho declinato l'invito, così lei ha preso una matita per gli occhi dal cruscotto e ha scritto il suo numero di telefono su un blocchetto.

«Chiamami se cambi idea, o magari un'altra di queste sere.»

Ha strappato il foglio dal blocchetto e me l'ha allungato.

«Allora ci sentiamo» ho detto.

Non avevo voglia di chiamarla, nonostante i capelli di miele, la sua pelle liscia e lucente. Avevo l'impressione che volesse salvarmi.


Pag 179

Io e Silvy siamo rimasti a guardarci mentre tra di noi Sally e il figlio continuavano nella loro danza elastica. Non riuscivo a interpretare lo sguardo di Silvy, la sua espressione estasiata. Ogni tanto incrociava i miei occhi come se non ricordasse più di avermi maledetto.

Ho allungato il braccio in mezzo alle sbarre del cancello e le ho teso la mano. Sono rimasto così, sentendo l'aria gelida tra le dita allungate e tremanti.


Pag 180

Intanto calava una nebbia densa che sembrava voler assecondare la nostra clandestinità.

«Tu non ci pensi a Matteo» ha detto quando ci siamo staccati.

«Non stiamo facendo niente di male. Guardami, toccami, sono qua, sei qua, eri pronta a farlo anche prima che lui avesse l'incidente.»

«Sono una donna cattiva.»

«No, non lo sei. Dammi un bacio.»

Mi ha obbedito e baciandoci siamo arrivati alla macchina sul vialetto. Ho abbassato il sedile e mi sono sdraiato.

Faceva freddo ma ci siamo disfatti delle giacche a vento e dei maglioni. Cercavo goffamente di ripercorrere le notti in cui l'avevo spogliata prima di addormentarmi per rifarlo in quel momento, ma il sogno mostrava subito lo scarto con la realtà del bottone dei suoi jeans che non riuscivo a far cedere. Con il suo corpo robusto e agile, Silvy ha fatto da sola e mi ha lasciato entrare dentro di lei, muovendosi piano.

Ho guardato il suo viso contrarsi in una smorfia di piacere, il suo fiato profumato di anice appannava i vetri. Ho allungato una mano per toccarle il viso mentre con l'altra la stringevo da un fianco.


Pag 182

Mi ero sbagliato riguardo ai romanzi, alle poesie e alle canzoni, non sono inutili, ma più che le risposte forniscono un metodo che in fisica si direbbe gassoso, in ottica invisibile, in filosofia metafisico. In quel momento ho capito che tutti i romanzi che avevo letto, le poesie che avevo scritto, le canzoni che avevo cantato mi avevano insegnato più di qualsiasi dio, che la vita non era l'unica cosa che mi restava, che c'era molto di più al mondo, e che per questo potevo vivere e distrarmi.

Una distrazione si era portata via Carla e per questo in ogni distrazione o leggerezza lei si nascondeva e tornava a carezzarmi.

Quando la canzone è finita, ho afferrato la maniglia dello sportello pronto a uscire e andare a suonare a Silvy. Le luci della sua casa mi richiamavano nello specchietto retrovisore.


Pag 209

«Grazie, comunque» ha detto.

«È merito tuo.»

«Cos'è, uno dei tuoi soliti giochi di parole?» «No, davvero. Tu mi hai insegnato a leggere.»

«Che vuoi dire?»

«Mi hai insegnato che una volta chiuso un libro non si deve restare uguali a prima. Io mi ero dimenticato cosa volesse dire leggere, credevo di poter aprire e chiudere i libri quando volevo, e in un certo senso ci ero riuscito, ma non è così, i libri non li chiudi mai, non sono fatti per questo.»

Armati di coperte ci siamo sdraiati sul divano, io seduto a fissare il vuoto gustando finalmente una sigaretta, Yuri con la testa sulle mie gambe, e così ci siamo addormentati.




Commenti

Post più popolari