#UN'INVINCIBILE ESTATE - Filippo Nicosia


Pag 18

Trovai lettere d'amore di suo pugno, le lessi dalla prima all'ultima riga. La scrittura tremebonda, pesantemente calcata sulla carta ormai ingiallita, formava righe sghembe che declinavano impietose man mano che si avvicinavano all'estremità destra del foglio. In quelle frasi semplici, a volte sgrammaticate, c'era una chiarezza di sentimenti spiazzante che non avevo conosciuto: "Cara Eleonora, non so se posso raggiungerti alla prossima settimana, ma il tuo pensiero mi rende fortissimo", "Mi prendono in giro perché parlo spesso di te, di come cammini", "Ho sognato che ti prendevo la mano e che ci sposavamo, non è un bel sogno? E tu cosa sogni?".

Non sembrava mio padre ad averle scritte. Ogni volta arrivavo alla fine per vedere se portavano la sua firma e immancabilmente c'era quello sgorbio che stava per "Salvo".


Pag 57

Entrai nel bagno a fumare tra il puzzo del piscio che stagnava sul pavimento, inumidendo i mozziconi che la gente nemmeno si preoccupava di spegnere e buttare nel cesso.
Accesi una sigaretta e invece di mettere via l'accendino, tirai fuori dalla tasca la foto di me e mio fratello; tenendola tra le labbra, girai la rondellina, sentii l'attrito della pietra focaia, il bagliore della scintilla, poi il calore della fiamma.
Avvicinai un angolo della foto che si deformò, annerendosi, prima di prendere fuoco. Attesi che fosse quasi interamente bruciata  l'odore acre della carta fotografica, i peli delle dita arricciati dal calore prima di lasciarla cadere per terra: un rettangolino grande quanto un mozzicone. Finii la sigaretta e tornai a sedermi in corridoio sul sedile estraibile.


Pag 89

Per me le nuvole non hanno forma e la loro bellezza è proprio nel non essere riconoscibili, nel non aver definizione o consistenza: nell'essere incerte e imprendibili.


Pag 104

Non riconoscevo il mio lamento, i miei singhiozzi, ed era come se la mia testa fosse il casco che era appena rotolato ai miei piedi, vuota e pronta per uno schianto.

Mi misi a correre, verso San Filippo, in salita. Sotto i lampioni gialli si vedevano bene cartacce e gramigna e le scritte sul grande muro che sosteneva il monte sul fianco sinistro della strada, frasi stratificate, ossimori, riscritture, MARY TI AMO in verde, TANTO S'È SCOPATA MEZZA MESSINA in rOSSO, PURE TUA MADRE di nuovo in verde, una cancellatura Su APRI GLI OCCHI e così via, come reperti di amori passati da passare, rabbia e amore che non stanno dentro i corpi e allora li si delega alle bombolette spray per imbrattarci i muri. Correvo e pensavo a urlare che era tutto inutile, mentre il respiro si faceva più corto e mi sembrava finisse il fiato e le gambe mi facevano male perché non avevo mai fatto sport nella vita e non era certo quello il momento di cominciare. Correvo pensando che mi avrebbe fatto smettere di piangere, correvo perché non potevo urlare. 


Pag 107

Mi fermai e mi accorsi che stavo dicendo quelle cose per inerzia, perché ero arrabbiato. Per la prima volta capii che la rabbia non è qualcosa che si riesce a indirizzare come una freccia, come un pugno, no, quella è violenza. La rabbia è soltanto il proprio fallimento che si deposita come polvere su quello che abbiamo intorno: un altro uomo o molti altri, un incidente, una malattia o peggio una sconfitta.


Pag 121

..ma a un certo punto pensi che non succeda niente, che la vita sia un ininterrotta catena di avvenimenti con una spiegazione, ma sono talmente pochi e lenti che la capirebbe anche un cretino. Finché non arriva la discesa che ti fa schizzare come sulle montagne russe e il paesaggio si confonde, diventando una serie di contorni incerti e colori che cambiano in fretta uno nell'altro come quando guardi dentro un caleidoscopio.


Pag 130

Dal fuoco scoppiettavano scintille che subito si esaurivano come minuscole scie luminose nella notte. Non c’era vento e nessuna altra luce sulla spiaggia sotto il Pilone illuminato di rosso. Il mare nero e nera pure la terra dall’altra parte, puntellata da migliaia di luci gialle e bianche. Il cielo invece era come impolverato di stelle.

Stretta nel suo telo, Martina si strofinava le braccia sul corpo mentre i capelli le grondavano acqua di mare.

-  Mi piace il mare gelato, anche di notte qui è gelato.

-  E la corrente non si ferma mai.

-  Mai. Lo Stretto sembra fermo, eppure si muove di continuo.

Martina si scompigliò i capelli con le mani spargendo

migliaia di schizzi.

 


Pag 136

Questa è la mattina a ridosso del mare, tutte case abusive, tutti fruttivendoli abusivi, tutti pescivendoli abusivi, eppure in questa pace illegale, in questa tregua che sembra secolare, io ero un uomo che amava e per questo sentivo, per una volta, di capirla questa mattina e questo vecchio col bastone affiancato dal badante del Bangladesh che gli pulisce il culo.

Sentivo di capire il benzinaio assonnato e le spiagge deposito di frigoriferi e materassi vecchi, i lidi scadenti: io non ero diverso da questo, io ero compromesso con questo pero amavo, a differenza di ieri, io amavo e non mi serviva più a niente giudicare. 


Pag 151

Sentivo Martina camminare dietro di me, a pochi passi; mi seguiva cercando di non mettere spazio tra noi due, di non perdere la scia facendo richiudere la folla.

Tra la gente assiepata nella piazza gremita di sabato sera.

- visi arrossati dalle lampade e dal primo mare, le canzoni delle estati passate, il trucco pesante, le risate sguaiate della folla venuta apposta per divertirsi - è facile sentirsi tristi anche senza sapere, come me, di dover perdere una cosa che avevo appena conquistato.


Pag 157

La abbracciai e ci riaddormentammo come se volessimo provare a svegliarci di nuovo, due volte nello stesso giorno, anche tre, perché valesse per tutti quelli in cui saremmo stati in case diverse, in diverse città, nei letti degli amici o

degli amanti.

Sentivamo di non essere stanchi come avremmo dovuto, perché quella stanchezza che cercavamo di sentire era come l'esondazione di un fiume che lascia la tacca sopra gli intonaci dei palazzi di una città e non serve che torni domani né mai, ché la tacca rimane per gli anni a venire.


Pag 189

Girai il polso sull'acceleratore e strinsi la manopola come se stringessi il mio cuore per tenerlo insieme e impedirgli di disintegrarsi o di mollare.


Pag 207

Non aspettai neppure che la nave partisse, salii sulla mia Vespa e seguii la strada verso il Pilone, mi fermai al primo bar e presi qualcosa da bere. Passai qualche ora a bere

Mojito e a guardare la gente ballare vecchie hit.

Scrissi un messaggio a Martina, che probabilmente era a una festa e sarebbe finita in qualche letto a breve, con giovani rapaci e annoiati sempre gentili, sempre vincenti.

"Ve ne andate sempre tutti da qui" le scrissi pensando alla sua definitiva partenza


Pag 212

Risalimmo sulla Vespa e tornando verso la città guidai più veloce del solito. Martina cingeva il mio addome con le braccia e stringeva le gambe per la paura ogni volta che sorpassavo una macchina.

Accostò le labbra al mio orecchio.

- Mi mancherai - disse.

Continuai a guidare come se non avessi sentito. L'aria mi sbatteva forte sul viso mista a polvere e sabbia, cominciai a lacrimare, fortuna che il vento asciugava subito quelle gocce salate sulle guance. Erano lacrime solo mie, non volevo che nessuno se ne appropriasse.


Pg 222

Spensi la Vespa e scesi con furia. Martina girò la chiave nella toppa, entrò e io corsi per afferrare il portone prima che si richiudesse.

Vidi la sua mano che ostruiva il sensore di chiusura della porta dell'ascensore.

Salimmo all ultimo piano. L'attico era quasi tutto a vetri, divani e poltrone d'epoca e librerie rigonfie di libri in disor-dine.

Prima volle che mi sedessi sul divano e venne sopra di me e voleva che le baciassi i seni mentre lei mi afferrava forte le gambe. Poi si sdraiò sul divano e ci baciammo e lec-cammo. Quando venni dentro di lei, si teneva allo schienale e io la prendevo da dietro. Crollammo uno su l'altra.

Restammo sul divano per tutta la notte, abbracciati.

Mi svegliai all'alba tra i suoi capelli profumati di mandorla e andai al bagno. Quando tornai era già sveglia e da come mi guardò, dal modo in cui mosse le mani sul ventre capii che la notte non era ancora finita, anche se l'alba aveva cominciato ad andare in scena sullo Stretto e un cielo quasi bianco disegnava, per contrasto, il profilo delle montagne della Calabria.





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