#GLI EROI SI BACIANO - FILIPPO NICOSIA


Pag 14

Il sole riverbera i suoi raggi sui divani in pelle bordeaux e sul tavolo in legno e marmo; la polvere è una grattugiata di luce sul giradischi, sui bicchieri sbeccati nella credenza a vetri, sul posacenere di metallo pieno di cicche, sul kilim enorme, sulla libreria svedese con i volumi ordinati per casa editrice.

Si presenta con una magliettina corta sopra l'ombelico e dei jeans strappati sulle cosce. Non sarà più alta di un metro e sessanta, grandi seni, mani e piedi perfetti con le unghie perennemente smaltate.

Ha un sorriso sornione che spunta sotto gli occhioni e la frangia che le taglia in diagonale la fronte. Sta fumando. Le vado incontro e come sempre ci salutiamo con un bacetto sulle labbra.


Pag 22

Le cose finiscono, si sgretolano, vengono superate, ma non i simboli: forse non tutto è perduto. Probabilmente in un futuro remoto, guardando quella cornetta verde su uno schermo, un uomo o un robot potranno ricostruire un telefono vecchio stile, e così sarà per ogni cosa andata perduta che ha avuto la sorte di rimanere fissata in un'immagine o in uno scritto; forse è anche per questo che gli esseri umani disegnano e scrivono: per poter rifare tutto da capo.

Cerchi poi quella vecchia mail non inviata fra le bozze, una lunga lettera nella quale dici a Nina cosa pensi del suo romanzo. La rileggi e sai che ormai è tardi per schiacciare il tasto invia. Perché non le hai mai scritto? Forse c'è nella facilità di quel gesto qualcosa che ti blocca? Forse se avessi dovuto scrivere a mano o a macchina quella minima fatica avrebbe reso il messaggio più urgente, meno sommerso in una routine giornaliera?

Ecco, divaghi ancora.


Pag 33

Alla radio, in sottofondo, una voce quasi in falsetto canta una canzone che parla di una certa

Agnese.

Mi fermo ad ascoltarla, cercando di eliminare tutti gli altri suoni. Agnese era il nome di mia madre.

La donna più bella che io abbia mai visto, anche se questo non l'ha salvata. Mi viene voglia di aprire il portafoglio e rivedere la sua foto. Di lei conservo soltanto questo. Non ho mai saputo chi l'ha scattata, ho provato a chiedere a mio padre, ma niente. Tutto quello che mio padre è riuscito a dire Io si capisce anche solo guardando l'immagine. E una foto di lei da ragazza, negli anni Settanta. Lei è seduta sui gradini della casa in cui abitava a Licata, ha diciotto anni e un'espressione malinconica. E sensuale, e io ho sempre pensato che la vita non te la perdona, la sensualità. Che mia madre l'ha pagata, la sua innata sensualità.


Pag 54

Ballare è una delle cose che preferisco, perché ci si tocca senza toccarsi veramente, senza allungare le mani o abbattere le distanze. Ballare è tenersi vicini, legati, senza che per questo i corpi siano costretti.


Pag 69

Ho cercato di non guardarla negli occhi, e mi sono fatto guidare; odorava di vaniglia e di dolcezza. Era stanca, si lamentava, non fosse stato per il dolore avrebbe già ceduto al sonno da quel dì.

In cima alle scale l'ho ripoggiata con delicatezza per terra. Camminando a fatica, siamo arrivati davanti alla sua porta, ha cercato le chiavi nella borsa, le ha tirate fuori ma le sono cadute di mano. Si è chinata nel tentativo di riprenderle ma si è accasciata per terra. Le ho raccolte io, e l'ho aiutata a rialzarsi.

Ho aperto la porta e nuovamente l'ho presa in braccio.

Stavolta l'ho guardata in viso, perché lei ha poggiato la testa al mio petto.

Mi è venuta voglia di baciarla, di dirle che era tutto finito. L'ho pensato, ma non ho detto niente: non avrebbe capito, doveva solo dormire.


Pag 79

Il letto era vuoto. Non l'aveva rifatto ma le lenzuola vi si poggiavano con naturalezza. A Storia dell'arte avevo appreso che i pittori del Rinascimento inumidivano i panni con acqua e gesso per fissarli in pose plastiche e poter così disegnare la luce che anima le pieghe della stoffa. Cecilia aveva fatto lo stesso senza artificio, senza consapevolezza: aveva sollevato le lenzuola umettate dei nostri umori sotto le quali aveva dormito e le aveva lasciate ricadere disegnando così la sindone della sua mancanza. Come un indiano che tasta la cenere tiepida d'un fuoco appena spento dai cowboy, ho posato una guancia sul lenzuolo per sentire il suo calore.

Poi ho messo su un caffè e ho atteso che uscisse stazionando davanti ai fornelli in cucina. L'ho versato in una tazza grande e con tutti e due i cornetti mi sono seduta sul divano osservando il cielo incorniciato dalla finestra.


Pag 97

Avevamo fatto l'amore circondati dalla flebile luce rossa. Prima sul pavimento e poi sul piccolo tavolo tra il timer, i chimici, i rullini, il contenitore graduato, le pinze che tremavano a ogni scossone.

Più che il piacere, ricordavo le foto stese ad asciugare sui fili. Erano state scattate tutte a Roma: su una panchina un tipo mingherlino cingeva la schiena di una donna corpacciuta, dal finestrino del tram un bambino disegnava una faccia sorridente nell'alone umido del suo fiato, al Colosseo i gladiatori si facevano i selfie con i cellulari.

A me quelle foto parevano bellissime, ma ai galleristi non interessavano.


Pag 108

«Ma tu mi piaci, Marcella.»

«Non ha senso questa cosa, Jérôme, non può funzionare.»

Cerco nel suo sguardo una crepa, ma non la trovo. Se è questo che vuole, non mi resta che andare. Afferro la maniglia dello sportello e la tiro, scatta la molla e sento la sua mano afferrare il mio braccio. Mi volto e la bacio di nuovo mentre lo sportello che si spalanca sul marciapiede colpisce un pedone. Marcella mi stringe con le forze superstiti del mattino.


Pag 116

«Non so se ho la forza.»

«Ma sì che ce l'hai, tu devi scrivere, sei nata per scrivere»

dici cedendo finalmente la birra.

«Ma io ho appena finito di star male per quel romanzo lì. Ormai è una cosa vecchia, questa di scrivere, sono due anni che non butto giù una riga. Scrivo dépliant pubblicitari, post di Facebook, Twitter, questa adesso è la mia vita e non mi ci pago neppure quest'affitto. Pensi che scrivendo un nuovo romanzo m'arricchirò, che venderò migliaia di copie? Credi davvero che là fuori ci sia qualcuno che sta aspettando la nuova fatica letteraria di Nina Interdonato?»

Nina prende il tabacco e comincia a girarsi una sigaretta.

«Non c'è bisogno di ridicolizzarmi così, stavo solo cercando di essere d'aiuto.»

«Allora carezzami» dice Nina, «è troppo tempo che non lo fai.»


Pag 118

Vi ritrovate a ballare senza musica davanti alla porta di casa, poi ti stacchi perché a volte la felicità, tutta quella che puoi

 provare, non entra dentro una sola stanza.


Pag 141

«Che vai a fare a Parigi?» le ho chiesto.

È rimasta in silenzio e poi ha pronunciato l'unica risposta che la mia stupida domanda meritava.

«Vivere.»

Ha rollato una sigaretta, l'ha accesa, ha fatto un tiro prima di passarmela e poi ne ha accesa una anche per sé.

Siamo rimaste nel letto a fumare, con quella domanda che assumeva le forme sinuose e lattee del fumo che stagnava nella stanza nonostante le finestre spalancate.

Le zanzare attraversavano quella nebbia tostata nel loro tragitto dal soffitto al letto. Mordevano i nostri corpi arresi e si  allontanavano punteggiando il soffitto come stelle nere.

Quelle costellazioni ripiene del nostro sangue sul bianco fondo dell'intonaco erano il cielo della nostra estate.


Pag 150

«Ti manca, eh?»

«Mi manca molto, è la prima cosa a cui penso al mattino quando mi sveglio. Però, e strano, non mi sento disperata. Anche prima di stare con Jérôme sentivo che mi mancava qualcosa, però non sapevo cosa. Adesso mi sveglio e so che a mancarmi è una persona, un odore, una voce, qualcosa di unico che non tornerà, ma il fatto di saperlo lo rende accettabile.»

«A volte parli come lui.»

Marcella tornò a guardare il cielo.


Pag 168

Dalla prima volta che hai incontrato quel ragazzo a casa di Nina hai capito che le sarebbe rimasto sempre accanto, così come lei avrebbe fatto con lui.

A pensarci adesso, capisci come la cosa che li accomuna sia quel senso di assoluta fedeltà verso le cose, le persone, i libri; l'ostinazione nel non voler perdere mai niente, nel non lasciare indietro mai nessuno. Negli anni hai visto amici sposarsi ed eclissarsi, scrivere romanzi, fare successo e sparire. È come se nell'invecchiare le persone si agglutinassero su se stesse, perdessero i margini e le periferie, quelle zone neutre e inesplorate dove è possibile l'incontro e la conoscenza degli altri.


Pag 197

Posso vivere nella tua storia, posso vivere adesso come fossi una tua parola, una protesi del tuo coraggio. Ti do un bacio, mia dolce amica, sulle labbra. Dopo sento freddo. Bussano alla porta e urlano qualcosa ma non la capisco, il volume è troppo alto. Sta per albeggiare, il cielo e rosa; tu non gli somigli più. Non apro a nessuno, si fottano, batto il tempo con le mani, adesso arriva il pezzo in cui gli eroi si baciano.




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