#COSE CHE NESSUNO SA - ALESSANDRO D'AVENIA
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Gli occhi verdi, ridenti e malinconici, sono calamitati dall'orizzonte: una linea troppo netta per non averne paura. Il mondo è una conchiglia. Fa eco alla luce, dà tutta quella che riceve, anche sotto forma di ombre. E la luce è l'unico comandamento dell'alba. Un comandamento ruvido, perché quando si viene alla luce viene anche da piangere.
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«Gli antichi marinai scolpivano sulla prua delle navi una figura umana, che aveva il compito di proteggerle. All'inizio erano solo degli occhi enormi, che consentivano alla nave di vedere la rotta. Poi li trasformarono in divinità femminili: donne bellissime, dallo sguardo ipnotico, capace di incantare i flutti e intimorire i nemici.»
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È il vento. Non lo vedi né lo senti sinché non trova un ostacolo, come tutte le cose che ci sono sempre state. Persino il mare sembra senza limiti, eppure canta solo quando li trova: infrangendosi sulla chiglia diventa schiuma; spezzandosi sugli scogli, vapore; sfinendosi sulle spiagge, risacca. La bellezza nasce dai limiti, sempre.
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In quel preciso istante la nostalgia diventò il sentimento dominante della sua vita, cristallizzato nelle cavità dell'anima, come corallo del cuore, prezioso perché raro e inaccessibile.
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Tu sei così giovane, così al di qua di ogni inizio, e io ti vorrei pregare quanto posso di aver pazienza verso quanto non è ancora risolto nel tuo cuore, e tentare di avere care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercare ora risposte che non possono venirti da te perché non le potresti vivere. E di questo si tratta: di vivere tutto. Vivi ora le domande. Forse ti avvicinerai così, a poco a poco, senza avvertirlo, a vivere un giorno lontano, la risposta.
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Si addormentò a fatica. Si chiedeva perché amare, così semplice in poesia, è così difficile e rischioso nella vita. Nel buio della notte e dei suoi pensieri interrogava i suoi scrittori, senza trovare risposta alcuna, e si sentiva come Balzac, che ormai in fin di vita chiedeva soccorso all'unico dottore di cui si fidasse: uno dei suoi personaggi. E così morì.
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«In realtà quando un predatore entra nella conchiglia nel tentativo di divorarne il contenuto e non ci riesce, lascia dentro una parte di sé che ferisce e irrita la carne del mollusco, e l'ostrica si richiude e deve fare i conti con quel nemico, con l'estraneo. Allora il mollusco comincia a rilasciare attorno all'intruso strati di se stesso, come fossero lacrime: la madreperla. A cerchi concentrici costruisce in un periodo di quattro o cinque anni una perla dalle caratteristiche uniche e irripetibili. Ciò che all'inizio serviva a liberare e difendere la conchiglia da quel che la irritava e distruggeva diventa ornamento, gioiello prezioso e inimitabile. Così è la bellezza: nasconde delle storie, spesso dolorose. Ma solo le storie rendono le cose interessanti...»
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Uscì e si trovò faccia a faccia con due occhi azzurri, quasi bianchi, stelle di una galassia perduta. Margherita, come un marinaio sotto il manto notturno del cielo, si immerse in quegli occhi e vide qualcosa che le assomigliava.
Giulio, sorpreso da quelle due ferite verdi e malinconiche, la guardò di rimando, il tempo sufficiente a un poeta per ricevere l'ispirazione. Pupille nelle pupille, provarono la sensazione di chi attraverso una fessura si sporge su un abisso fino a farsi cogliere da un'ine-briante e sacra vertigine. Per non cadere dovettero distogliere lo sguardo. Lui lasciò scivolare il proprio lungo le braccia di lei e le guardò le mani esili, affusolate, mobili: era come se avesse trovato l'assoluzione di cui aveva bisogno e che non sapeva di cercare. Si voltò e si incamminò dall'altro lato del corridoio, con le spalle nude, senza armatura. Per la prima volta in vita sua ebbe paura: ciò che voleva, forse senza nemmeno saperlo, gli era apparso nella cosa più fragile che avesse mai visto. Lui, creatura invincibile del buio, si era lasciato incantare da una minuscola e insignificante lucciola vagante in una notte estiva.
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Erano lacrime diverse: provenivano da quel pezzo di anima che a tenerlo intatto e pulito, e magari ad ascoltarlo, ci si salva.
E invece si fa a gara ad asciugarle subito le lacrime. Le lacrime, un lusso che solo i deboli possono concedersi.
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«Quanto sei arido! Alle donne piace pensare un pensiero senza contorni...»
«E qual è?» la interruppe lui impaziente, ma lei lo ignorò.
«Alle donne piace crogiolarsi nell'attesa... Per poter poi ricordare meglio quel momento, registrando ogni dettaglio, ogni segno sul volto altrui, ogni colore e profumo...»
«E quindi?»
«A noi donne piace essere intuite, indovinate e a volte persino inventate... E ci fa impazzire scoprire che l'uomo che abbiamo accanto vede in noi cose che nemmeno noi sappiamo» disse lei civettando con gli occhi e giocando con la punta dei capelli.
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Ma cosa volevano tutti da lui? Più cercava di starsene solo più gli si attaccavano addosso, come se fossero invidiosi di chi sa stare solo con se stesso. Cercò l'origine della voce che lo chiamava, ed erano capelli neri, occhi neri, collo flessuoso, pelle di porcellana.
Giulio la fissò, serio. Lei avvicinò le labbra all'orecchio di lui, gli sfiorò il lobo e sussurrò:
«Ti voglio.»
Giulio appoggiò la guancia contro la sua e annusò, alla ricerca di una tenerezza che non aveva mai ricevuto da nessuna ragazza. Quella pelle liscia, quel profumo leggero scioglievano un po' del dolore di cui era impastato, ma non raggiungevano mai il nascondiglio dove quel dolore era rintanato. Per arrivare sino a lì ci voleva la tenerezza di una madre, e in ogni donna che toccava Giulio cercava la pelle di sua madre, senza trovarla mai.
Le loro labbra si mangiarono e il profumo umido delle superfici lavò via un po' di tristezza.
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La paura di non sentire più il sapore di quel vino e non riuscire a fidarsi di quel mare, con il passare dei giorni, dei mesi, degli anni.
«Dimmi, Folle, cosa è Amore?» lo scosse lei citando dei versi che lui conosceva bene, nel tentativo di aprire il primo dei catenacci che serrava il suo cuore impaurito.
«Amore è ciò per cui i liberi divengono prigionieri e i prigionieri liberi» rispose lui d'istinto, ingannato da un gioco al quale non sapeva resistere e del quale lei conosceva come nessun altro le regole. Poi, acciuffandolo dallo spiraglio che si era aperto nel muro della sua autodifesa, la paura, con la sua mano artigliata, lo ricacciò nel buio.
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Margherita si lasciava levigare dall'acqua della vasca da bagno, sperando che il calore facesse evaporare non solo le impurità che la vita quotidiana deposita sopra e sotto la pelle, ma la purificasse anche dal veleno più sottile che si era diffuso dentro di lei da quando aveva ascoltato le parole metalliche del padre. Immerse la testa. L'acqua sembrava composta non di idrogeno e di ossigeno, ma dei sentimenti intricati di quel giorno: vergogna, euforia, rabbia, paura.
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A vita è nu filu. La vita è un filo, no, peggio, la vita è un gomitolo aggrovigliato e inestricabile. Chi riesce a trovarne il bandolo è fortunato. Poi subentrò il volto pallido e magico di quel ragazzo dagli occhi freddi e magnetici, i suoi capelli neri e le sue labbra chiuse. Chissà cosa faceva e cosa pensava, chissà che libri leggeva, che tipo di ragazza gli piaceva, come muoveva le mani e come rideva e come masticava. D'un tratto a quel viso si sovrappose quello stanco della madre. Il tormento allora si impadroni di nuovo di lei, come se quello di sua madre fosse suo, come se il dolore di sua madre fosse lei stessa. L'acqua scivolava via su ciascuna di quelle immagini, senza riuscire a lavare l'anima dal dolore, senza riuscire a raggiungerlo. Mancava un volto. Lo cercò e lo vide vuoto, senza espressione, assente. Tolse il tappo e sarebbe voluta sparire dentro il mulinello della vasca insieme all'acqua sporca dei suoi sentimenti.
Rimase a fissare nello specchio le gocce che le scendevano lungo il corpo. Il suo corpo le apparve così com'era. Da quando il padre l'aveva abbandonata era come scorticata, riusciva a vedere la carne. Prima era troppo vicina a se stessa per vedersi. Ora il dolore aveva creato lo spazio per guardarsi, per cercarsi, per essere. Solo l'amore riesce a fare altrettanto.
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Andrea disegnava per non piangere. Questo lo avrebbe reso un artista forse, ma quel che è certo è che lo avrebbe reso unico, perché là dove il dolore si nasconde cresce la madreperla della vita.
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La letteratura lo costringeva a origliare se stesso, come se dentro di lui ci fosse una porta dietro la quale qualcuno bisbigliava segreti che lo riguardavano. E questa stessa porta voleva farla scoprire ai suoi alunni. Strapparli dal vagare dei pensieri superficiali, dai pensieri dettati da effimere reazioni emotive, per costruire un luogo, una stanza, dove il sussurro di se stessi diventa percepibile, come il mare nelle conchiglie. Ma solo la bellezza sa trovare la strada per condurti per mano in quel luogo dove parli con te stesso e ascolti te stesso. La letteratura ti costringe a dare del tu ai tuoi pensieri e a scoprire se sono veramente tuoi.
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I rumori della città erano un sottofondo quasi dimenticato, come accade quando la bellezza rapisce l'anima.
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«Non multa sed multum!» rispose Margherita, lasciandolo di sasso.
«Chi te l'ha detto?»
«Lo diceva sempre mio nonno.»
«Che vuol dire?» chiese Marta.
«Che l'importante non è leggere molte cose, ma leggerle molto in profondità.»
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Così è l'amore. Comincia con un mistero e la risposta da dare a quel mistero è il segreto della sua durata. La luce oscura di quel mistero abbracciava tutto, e lei, per la prima volta da quando suo padre se n'era andato, non si sentì sola.
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«Nonna! Ma che dici? Che c'entra l'ombelico, adesso?»
«Gioia mia. L'amore è fatto di carne. L'uomo desidera la donna e la risveglia: lei si sente voluta, amata. Quando un uomo tocca una donna ci tocca l'anima. Non tutti gli uomini arrivano a sentire l'anima sotto le dita, alcuni vastasi si fermano alla scorza.
Una carezza sulla pelle di una donna è capace di allisciarci l'anima, uno schiaffo di frantumarla... E poi dall'ombelico parte quel filo a cui è legata la vita, quella corda non si rompe mai... e un uomo ci s'aggrappa sempre.»
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«Camminavamo uno a fianco all'altra, guardando la strada davanti. Lui raccontava mille storie. Quante ne sapia... Ogni tanto ci fermavamo a parlare e invece di guardare avanti ci taliavamo negli occhi. Le pause erano più lunghe e le parole più rare. Gli occhi si cercavano dentro, cercavano quello che tutti gli innamorati cercano e non sanno cos'è...»
«E poi?»
«E poi lui strappò un fiore d'arancio e lo annusò. Lo avvicinò alla mia bocca, me lo fece ciarare.»
«Cia... che?»
«Annusare... e poi me l'infilò tra i capelli. Si avvicinò ad annusarlo e le sue labbra mi sfiorarono la fronte. Sentii il suo fiato sulla pelle. "Quanto sì duci, Teresa..." così mi disse.»
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«Non ho niente da dare.»
«E questa chiacchierata? Non è una cosa che mi stai dando? Mi stai dando la tua rabbia, il tuo dolore.»
«Bel regalo.»
«Il più bello, perché so quanto ti costa. Quello che conta nella vita è come ci convivi, con il dolore, cosa ci fai. E se riesci a mantenere intatto un pezzetto di anima mentre combatti.»
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«Come mai non sei scappato questa volta? È inutile nascondersi, io ho capito che con te non posso costruire una vita. Mi ero illusa. Tu sei come quei libri che tutti leggono perché bisogna - "non puoi non averlo letto!"
- ma nessuno arrivato alla fine ha il coraggio di dire, a costo di fare brutta figura: "non mi ha dato nulla". Invece io te lo dico! Non mi dai più nulla!»
«Ma io sto bene con te, Stella.»
«Ti sbagli, tu stai bene finché giochiamo agli inna-morati. Poi quando io ti chiedo qualcosa, tu scappi. Se ti chiedo di cambiare vita, con me, tu fai finta di nien-te. Ma io voglio crescere! So bene che con te è possibile, se non ti lasci paralizzare dalle tue paure.»
Lo guardò dritto negli occhi e li vide frantumarsi come il ghiaccio esile di una fontana d'inverno. Sapeva che era quello che ci voleva, anche se si sentì morire dentro per la sua durezza.
«Ma io ti amo» disse lui, aggrappandosi a quelle parole magiche, che non produssero però l'incantesimo sperato.
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Ci sono dolori in cui nessuno può entrare. Ci sono cose che bisogna fare da soli.
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Ci sono parole come le conchiglie, semplici ma con il mare intero dentro.
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«Dove vuoi andare?» chiese lui.
«Dove c'è silenzio» disse lei stringendogli la mano
e appoggiando il fianco al suo.
La sera spazzava via i residui di luce come polvere sotto un tappeto e la città sembrava un enorme palcoscenico al centro del quale Margherita e Giulio recitavano la loro parte con arte consumata, mentre cose e persone si avvicendavano come goffe ed evanescenti comparse. Con la leggerezza dei passi di danza un uomo e una donna avanzavano sul filo sospeso della vita, l'uno verso l'altra. Passo dopo passo il filo si irrobustiva e diventava corda, asse, ponte lanciato sull'abisso.
«So io dove andare» disse Giulio senza guardarla, ma senza lasciarle la mano.
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"Nella vita sono importanti non i momenti in cui respiri, ma quelli che il respiro te lo tolgono", parola di Hitch. Non c'è altro modo di trovare la propria storia, se non perdi il respiro, costi quel che costi. Voleva che tutti i suoi sogni non volassero via come coriandoli, prima ancora di diventare progetti.
Si sarebbe sentita in colpa, ne avrebbe avuto nostalgia e non c'è nostalgia maggiore di ciò che non è mai stato. La nostalgia del futuro.
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Il cuore non è altro che una fila di stanze, sempre più piccole, una immette in un'altra attraverso una porta chiusa e scale che scendono. Sono in tutto sette stanze.
Il cuore del cuore è la settima, la più difficile da raggiungere, ma la più luminosa perché le pareti sono di cristallo. Gioia e dolore vengono da quella stanza e sono la chiave per entrarci. Gioia e dolore piangono le stesse lacrime, sono la madreperla della vita, e quel che conta nella vita è mantenere intatto quel pezzetto di cuore, così difficile da raggiungere, così difficile da ascoltare, così difficile da donare, perché lì tutto è vero.
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«Tu non conosci gli uomini, Margherita.» «Vuoi dire che io non conosco mio padre?»
«Voglio dire che non conosci le ombre.»
Margherita rimase in silenzio, voleva che Giulio continuasse, ma aveva paura di chiederglielo.
«Le persone sono fatte di luci e ombre. Finché non conosci le umbre non sai niente di una persona. Cerca di vedere le ombre prima delle luci, altrimenti resti delusa.»
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Eleonora si fermò. Si chinò. Lo abbracciò.
Con quell'abbraccio gli prometteva qualcosa che avrebbe voluto dargli per sempre. All'inizio della vita si concentra tutto quello di cui abbiamo bisogno, poi passiamo il tempo a cercare ciò che abbiamo già avuto. E se non l'abbiamo avuto o lo abbiamo perso, allora quella è la paura.
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Tu non hai mai accettato di ferire ed essere ferito nella lettura. I libri non ti mancheranno mai, qualcos'altro ti manca però, che è anche nei libri. Tu non hai il coraggio di arrivare al cuore e guardare ciò che c'è dentro. I libri o ti portano lì o sono un vezzo inutile, che invece di riscaldare il mare di ghiaccio del tuo cuore lo rendono ancora più duro.
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Tu non vuoi che gli altri vedano le tue fragilità. Hai paura che ne ridano. Ma quello che ti sfugge è che io ti guardo.
Ma io ti vedo oltre quell'armatura, io ho guardato dentro quell'armatura e per me sei un ragazzo dai mille buchi...
Quando te lo dico o ti metto di fronte alla tua inconsistenza tu fuggi, pensando che io sia cattiva, mentre sono io ad amarti più di tutti, perché di te vedo tutto e amo tutto.
Da te voglio estrarre il tuo migliore tu.
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lo ti amo. lo voglio vivere con te.
Qualcuno ha detto che "ti amo" è sinonimo di "è bello che tu esista così come sei e se non esistessi io ti ricreerei esattamente come sei, difetti compresi".
L'amore c'entra con le emozioni fino a un certo punto, l'amore è fatto di volontà, di scelta e per questo deve essere anche ruvido, difficile per essere vero. Forse ti sfugge che io sono dalla tua parte, combatto con te. Sono l'anima delle tue paure, dei tuoi dubbi.
Mi riguardano. Portami nelle tue battaglie, fammele sentire, vedere: sono con te e avrò il coraggio di dirti quello che hai bisogno di sentirti dire. Non sono una tua nemica, ma la tua forza. Vorrei lo capissi. Decidi tu se vuoi che io guardi da vicino le tue fragilità o se vuoi continuare a nasconderle anche a me e a tenermi distante, sperando che questo le faccia accettare non solo a me, ma anche a te. Lo esisto per fartele accettare, perché le amo. Io non ci tengo a essere felice, io preferisco la vita, con le sue ombre. La felicità è una bella schifezza se non le insegni a vivere.
Comunque tua, Stella
P.S. Noi siamo solo al prologo della nostra storia, professore. Non vuoi sapere come va a finire?
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Quando il sole scomparve del tutto, ebbero meno paura che i loro visi fossero così vicini. Margherita chiuse gli occhi. E l'oscurità celò col suo silenzio calmo quel bacio dolce-amaro. I respiri si mescolarono ed entrambi sentirono una parte di sé venire alla luce, la parte più profonda e nascosta, la stanza dove nessuno può raggiungerti se non glielo permetti, la settima stanza.
E si baciavano ancora quando le stelle schizzarono in cielo, e ciascuno respirava il respiro dell'altro, come se fino a quel momento avessero usato un polmone solo. E quando si staccavano avrebbero gridato l'uno all'altra: "Mi manchi!". E quando le labbra si univano di nuovo: "Quanto mi sei mancato!". Come può mancarci chi non abbiamo mai avuto? Cosa ci manca veramente: l'altro o una parte di noi stessi? O abbiamo bisogno che qualcuno ci regali quella parte di noi stessi che ci manca?
Sono cose che nessuno sa.
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Ci sono pusti in cui non c'è bisogno di gridare per farsi sentire: bisugna solo imparare ad ascoltare, e se si parla è per ascoltare meglio. Sono i posti in cui la gente dice la verità, dichiara un amore, confida un tormento o rimane in silenzio.
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Per vedere il cuore di un uomo devi chiedergli i suoi sogni o i suoi dolori, ma i dolori in Giulio avevano sempre soffocato i sogni, che ora cercavano, come brace sotto la cenere, di infiammare di nuovo la sua vita. Gli veniva da vomitare, come se dovesse eliminare una sostanza impossibile da espellere tanto era mescolata con il dolore: l'anima stessa.
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«Ricordi quella domanda che mi facisti? Ti voglio rispondere. In quella prima notte, Margherita mia, c'è il segreto di tutto. Quando il nonno Pietro e io... ho capito che era una di quelle cose che non si sapranno mai, tanto sono inturciuniate e misteriose. L'amore è come fare l'amore: avvicinarsi e allontanarsi, a cercare qualcosa che nessuno sa. Vicino e lontano, dolce e amaro, come i sapori migliori. L'amore non si ferma mai, nicariedda mia. È come u mari ca sale e scinne senza stancarsi, cu malutiempo e cu beddutiempo. Sempre. Se u Signuruzzu fece l'amore accussì, iddu u sapia picchì...»
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Ho cercato il mistero che avevo visto negli occhi di tua madre in altri occhi, come se lei l'avesse perso, ma sbagliavo... Spesso ci tuffiamo nella novità come se fosse la soluzione o un rimedio, come se la vita che sentiamo palpitare di nuovo dentro di noi ci facesse provare l'ebbrezza dell'immortalità, ma non è di sentirci immortali che abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di amare. Tua madre aveva smesso di essere quel mistero di mare, vento e fuoco - ci si abitua a tutto - e l'amore si era spento. Io davo la colpa a lei e la colpa era mia.
Non poteva essere suo il mio amore, se io l'avevo consegnato a un'altra.»
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Mi diceva che l'amore non è per raggiungere la felicità, che quella è fuggevole e a cercare di procurarsela scappa sempre, ma l'amore è per raggiungere la gioia di vivere, che non c'entra con la felicità ma con la vita. E la gioia di vivere non te la toglie nessuno, succeda quel che succeda, neanche il do-lore.
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«Qualunque sia la cosa che ti è cara, il tuo cuore prima o poi dovrà soffrire per quella cosa, magari anche spezzarsi. Vuoi startene al sicuro? Vuoi una vita tranquilla come tutti gli altri? Vuoi che il tuo cuore rimanga intatto? Non darlo a nessuno! Nemmeno a un cane, o a un gatto, o a un pesce rosso. Proteggilo, avvolgilo di passatempi e piccoli piaceri... Evita ogni tipo di coinvolgimento, chiudilo con mille lucchetti, riempilo di conservanti e mettilo nel freezer: stai sicuro che non si spezzerà... Diventerà infrangibile e impenetrabile. Sai come si chiama questo, Giulio?» chiese Filippo, che si era infervorato nel parlare. Gli era spuntata una vena sulla fronte.
Giulio scosse la testa. Voleva sentire il seguito.
«Inferno. Ed è già qui: un posto dove il cuore è totalmente ghiacciato.
Pag 308
«Io non so perché ti ho seguito in questa follia, ma so che questa follia mi è sembrata normale accanto a te. Io che non parlo mai, ho parlato. Io che non ho mai paura, sono diventato debole e mi sono sentito più forte così. Io che non ho mai avuto una casa, mi sono sentito a casa sotto il cielo. Io voglio guardare i tuoi occhi ancora, voglio proteggerti da tutti i pericoli. Non voglio più salire da solo sui tetti, entrare nei cimiteri per poter amare la vita. Io non voglio più rubare nulla se non per regalarlo a te» le sussurrò Giulio in un orecchio.
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Nessuna perla è uguale all'altra. Nessuna perla è mai perfettamente simmetrica. E nelle cose di questo mondo è meglio tenersi lontani dalla perfezione: la luna quando è piena comincia a calare, la frutta quando è matura cade, il cuore quando è felice già teme di perdere quella gioia, l'amore quando raggiunge l'estasi è già passato. Solo le mancanze assicurano la bellezza, solo l'imperfezione aspira all'eternità. La perla se ne sta lì con quella sua irraggiungibile imperfezione, nata dal dolore. E dall'amore che lo abbraccia.
La perla dice che la felicità non è in ciò che dura un giorno e poi passa, ma si cela là dove non si inciampa nella morte, e se vi s'inciampa, è solo per una nuova nascita. E questa trasformazione non si chiama felici-tà, ma gioia di vivere.

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