#L'ISOLA DELL'ABBANDONO - CHIARA GAMBERALE
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Ma se sapessimo di che cosa abbiamo bisogno, non avremmo bisogno dell'amore...
Quant'è vero, riflette, mentre si è decisa a infilarsi a letto, ma fatica a prendere sonno.
Anche l'amore che ti convince di avere bisogno proprio di quello che l'altro può darti, però, è un amore pericoloso.
Il mio amore con Damiano è stato così.
Il mio amore con Damiano è così.
Il mio amore con Damiano è stato? È?
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E soprattutto poteva parlare, parlare, parlare fino allo sfinimento: anche dopo anni, si ritrovavano a passare la notte intera svegli, lui a dissotterrare un ricordo d'infanzia, d'adolescenza, lei a spolverarlo, provare a interpretarlo, restituirglielo nuovo, e le pareva così di scrivere e disegnare la sua storia migliore, si sentiva di fare la differenza, di assicurarsi un bonus contro la possibilità di venire di nuovo tradita, abbandonata, si sentiva ispirata, piena di significato, viva.
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Settembre stava finendo senza farlo apposta, l'aria era ancora calda, il litorale, a parte un paio di pescatori che giocavano a carte, era tutto per loro, si erano tolti le scarpe e avevano cominciato a camminare tenendosi per mano come facevano sempre, quando il potere di quello che li legava sembrava più forte della minaccia che quel potere portava con sé. Vedrai, Occhi: la prossima estate ci riscatterà da tutto questo schifo che abbiamo passato, ti voglio portare a Naxos, mi hanno detto che è un'isola con una luce grandiosa e un'energia incredibile, così tu disegni, io mi farò affidare un progetto che finalmente dimostrerà a tutti chi sono: appena ci svegliamo facciamo l'a-more, poi ognuno fa il suo dovere, lavoriamo, poi esploriamo l'isola, cerchiamo una spiaggia solo per noi, come questa, però fantastica, allora facciamo di nuovo l'amore, andiamo a
mangiare in una taverna sul mare, e finalmente a casa... Facciamo di nuovo l'amore? aveva riso lei. No, ti chiedo di sposarmi, aveva risposto lui. Te lo chiedo tutte le sere finché non mi rispondi di sì. L'
aveva spinta sulla sabbia e l'aveva baciata
come da mesi non faceva più, perché ultimamente i loro corpi neanche affrontavano da lontano l'argomento sesso.
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-mentre ci prende, ci tira via da quello che eravamo fino a un attimo prima e inganna tutti i nostri buchi... Non solo ci fa credere che non verremo mai più abbandonati, ci fa anche dimenticare di esserlo stati - dal nostro passato amore, da un amico, un altro amico, da nostro padre, nostra madre, dalla speranza che le cose andassero diversamente da come sono andate.
Poi l'amore passa, diventa altro, e i buchi sono ancora
tutti lì.
Gli abbandoni anche.
Quelli ricevuti.
Ma forse soprattutto quelli inflitti.
Nel suo caso quello, inflitto...
L'unico.
Quell'unico, indecifrabile abbandono inflitto.
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…rimangono sull'autobus solo loro. Stefano le avvicina le labbra a un orecchio, non è stupendo?, soffia, non è stupendo desiderare di essere proprio dove siamo e con la persona con cui siamo, non è per momenti come questo che si viene al mondo, Occhi?
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Si alza, torna nel loro studio. Guarda il pc di Stefano lasciato aperto per terra, un suo calzino appallottolato, blu, l'altro chissà dov'è, una maglietta rossa stesa ad asciugare sul terrazzino, un cappello di paglia a tesa larga che hanno comprato in Birmania, quattro anni fa, appeso a una sedia,sulla scrivania la sua carta d'identità, le chiavi di casa e uno zaino di jeans. La allaga dentro, e la strazia, la tenerezza, la solita tenerezza. Ce l'ha da sempre per le mutande, per i fogli AO, per il dentifricio di Stefano, per il fatto che la sera si toglie i vestiti e la mattina se li rimette, formichina fra le formichine dell'esistente, per le lenti bifocali dei suoi occhiali da lettura, per i numeri memorizzati sul telefonino: per quell'infinità di cose che potrebbero essere di tutti, ma siccome sono di qualcuno che amiamo, all'improvviso sembrano come illuminarsi dall'interno. E siccome le persone dobbiamo sforzarci per capirle, mentre le cose no, sono quelle, in questo momento vorrebbe solo abbracciare tutto
- il pc il calzino la maglietta le scarpe il cappello la carta d'identità le chiavi lo zaino - e fare finta di non avere visto.
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Finalmente crede di nuovo nella possibilità di un amore, un amore vero. E anche se sono stati insieme solo una volta, all'alba, sulla spiaggia qui davanti, mentre tutti dormivamo, l’altroieri, sono certi che stia cominciando qualcosa di grande a cui nessuno dei due vuole rinunciare.
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"Siamo noi. Noi con la nostra storia, con le nostre com-plessità, con i nostri punti di luce e i nostri punti d'ombra.
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Finiva settembre, e lei fissava l'unica stella che si era fatta largo in quella notte fresca e pura, dal terrazzino del suo studio.
Vorrei essere te, aveva confessato a quella stella.
Vorrei che anche per me fosse un diritto rimanere ferma, fissa nel mio buio.
Vorrei che mi trovassero così anche fra cento, duemila anni: appesa a quello che oggi mi fa male, tutt'uno con quest'abbandono, perché lo so che dovrei andare avanti, lo so che questa che oggi mi appare una sofferenza immensa
è in realtà la mia ricompensa: ora sì che potrò davvero amare, ma almeno quello che sto provando adesso, questa massa informe di nostalgia e smarrimento e incredulità e domande che mi ritrovo al posto del fiato mi permette di sentire ancora Stefano qui, accanto a me. Al punto che se allungo un piede, certe notti, ho l'impressione di toccare il suo e mi sale in bocca l'odore della sua bocca, troppe sigarette, birra e dentifricio alla mela.
Era stata la stella, a quel punto, a rivelarle il segreto di cui, non lo sapeva, ma aveva bisogno? Forse. Lei, più in là, l'avrebbe ricordata così quella notte.
"Perché la felicità degli ultimi mesi con Stefano ti sembrava sospetta, e sotto sotto non ci hai mai creduto neanche tu, mentre a quest'ennesima punizione con cui la vostra storia ti umilia, ti viene così naturale lasciarti andare che vorresti scioglierti in lei e galleggiare per sempre nel cielo così - punita, tradita, piantata in asso?" le aveva chiesto la stella. "Che cosa c'è nell'abbandono che tanto ti riguarda? Nelle morti degli altri che aspetti anche e soprattutto quando non ci sono rischi e la vita indisturbata fa il suo corso, che cosa c'è?
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Vedi, Occhi? Le avrebbe detto Stefano, osservando l'indiano. Quello lì, con l'aquilone giallo e blu, vuole sfidare il mare, è chiaro da come va incontro alle onde, sembra costringerle a inginocchiarsi davanti a sé. L'altro invece, il biondo con l'aquilone arancione, sfida se stesso: non c'è tigna nei suoi movimenti, c'è solo grazia, è come se cercasse di entrare in un'
armonia profonda con il vento, guarda. Sembrano le
due parti di me.
Può non pronunciare più il suo nome, può evitare i posti che hanno scoperto insieme: ma ancora non riesce a soffocare quella voce che quando meno se l'aspetta le torna a parla re, a spiegare il mondo così come appare a lui, da un punto di vista a cui lei ancora non riesce a rinunciare e che riporta tutto a sé, come fanno i bambini. O i pazzi o gli indifferenti. E Stefano è tutte e tre le cose.
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La spiaggia è deserta, il sole comincia lentamente a rotolare verso il mare e a prepararsi per il grande tuffo. Si siedono su una piccola barca di legno abbandonata sulla riva, Di apre due lattine, gliene offre una, brindano.
"All'umore rosso e blu," dice lui.
"All'umore rosso e blu..." e gli sorride, ma mentre brinda non può evitare di pensare: che cosa ne puoi sapere tu, tu che hai l'evidente e divina fortuna di credere nel mare, crederci davvero, e parli e ti muovi come se il mondo non potesse che essere tuo complice, dell'umore blu e dell'umore rosso? Se almeno una volta non ti è capitato di perdere il filo, ma il filo di tutto, e di non riconoscere neanche le dita dei piedi come davvero tue, come fai a giudicare Pilù? E Stefano, Stefano. Come potresti giudicare Stefano, tu.
"Stai pensando che sono un coglione."
"Un po'." Ma mentre lo dice, senza pensarci, lascia scivolare una mano nella sua. Lui la stringe. E prende ad accarezzarla. "Mi domandavo solo se tu ne sapessi qualcosa, delle tremende fatiche di quello sbalzo."
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Ora è lei che gli accarezza la mano. Lui gliela prende e le
bacia l'incavo del polso.
"E il tuo piatto preferito? Qual è?" le chiede.
"La cotoletta alla milanese. Il tuo?"
"Stasera allora te la cucino. Il mio è la lasagna. Che giorno
sei nata?"
"Il ventisei aprile del millenovecentosettantasette. Toro.
Tu?"
"Il quindici giugno del millenovecentottanta. Gemelli.
Cos'è che ti fa proprio schifo?"
"Avere la pancia piena, la frustrazione e le uova. A te?"
"Il vino scadente e la malafede. Che cosa vuoi tare da
grande?"
"Mi piace il mio lavoro. Vorrei continuare a farlo per tutta la vita. E tu?"
"Vorrei avere almeno tre figli. Qual è il tuo sogno?"
"Dimenticare. Al momento è questo. Il tuo?"
"Fare l'amore con te. Al momento è questo.
"
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La bacia sulle labbra. Mi piaci così tanto, le dice. E la spoglia piano, prima la maglietta, poi i jeans, mentre glieli sfila le bacia le ginocchia, le caviglie, una per una le dita dei piedi. Si toglie il costume, ha solo quello addosso da quando si sono incontrati nella grot-ta, ormai più di dieci ore fa. La prende per mano e si fa seguire di sopra, il legno delle scale è incerto, ogni movimento è un piccolo rumore, entrano in una camera buia, le finestre sono chiuse, non si vede niente, Di la spinge dolcemente su un letto, lei sente un vago profumo di limone, lui riprende a baciarla, i polsi la fronte il collo, eccolo il mio sogno, le dice, sei tu, ha la pelle ancora incrostata di sale, sa di mare, sa di sabbia, sa di buono - sa di rosso mescolato al blu.
Un istante prima di abbandonarsi a lui, nel buio incrocia gli occhi spalancati e fissi di Stefano, quell'ultima penosa mattina nell'hotel di Koronos. Poi una mano le accarezza una guancia, e tutto quello che fa male. Chiude gli occhi.
"Ciao, Arianna."
"Ciao, Di."
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E all'improvviso capiva che la poesia, per Stefano, significava fuggire dalla realtà, sfregiarla: invece per Di la poesia, senza bisogno di nessun proclama, significava sforzarsi di interpretarla, la realtà.
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E però qual è secondo te la paura che, stringi stringi, ci aveva spinto a rifugiarci fra
quelle tette?"
Stavolta aveva risposto senza esitazioni: "La paura di non
essere amati"
"Ecco perché mi sto innamorando pazzamente di te. Perché quando parliamo e quando facciamo l'amore noi ci intendiamo proprio. Un altro ouzo, per favore... E così, è esattamente così anche secondo me: il problema è sempre uno solo, sempre quello: abbiamo paura di non essere amati. E allora ci rifugiamo nel nostro trauma, nelle nostre ossessioni.
Ma lo capisci, il paradosso? Non lo vedi che, proprio perché ce ne stiamo lì, accartocciati nel nostro mito, nessuno ci potrà mai conoscere per quello che siamo e dunque ci potrà amare? Non è evidente che mentre crediamo di difenderci ci stiamo mettendo definitivamente a rischio?"
Gli aveva tappato la bocca: "Di"
"Che c'è?"
"Hai detto che ti stai innamorando pazzamente di me."
"E allora?"
“E’ vero?”
"Certo che sì."
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…costanza che ci vuole, per una donna che crede nei suoi animaletti improbabili più che nelle persone, a convincersi che forse pure le persone, a guardarle bene, non sono altro che questo: animaletti improbabili. Tutti senza cuore, tutti innocenti. Costanza come quella che nessuno dei due ha mai avuto, lei troppo presa a rincorrere quello che non c'era, lui ancora troppo giovane, bravi ad aspettare l'onda, ad aspettare una tragedia o un'enormità qualsiasi pur di non stare fermi a guardare il mare quando è piatto e non succede niente, e poi ancora niente, incapaci di rimettersi ai giorni, semplicemente, alle ore. E adesso, per promettere alla bambina che arriverà ci sarò, sempre e comunque ci sarò, ci vuole amore, certo: ma per mantenere la promessa ci vuole
costanza.
Costanza come la costanza che ci vorrà, quando si saranno conosciuti davvero e si deluderanno una volta, due.
Quando scoprirai che sono permaloso, quando scoprirai che in testa o giù di lì ho davvero un allarme sempre pronto a scattare, quando la domenica pomeriggio non passerà mai, quando arriveranno Natale, l'allergia, la pancia, quando andremo al bagno e senza accorgercene lasceremo la porta aperta, quando l'umore blu balzerà inaspettato dal suo angolo cieco e si prenderà tutto. Quando dovrò consegnare un lavoro ma non avrò nessuna idea e risponderò male a te anche se non c'entri niente, dice lei. Quando uscirà fuori la pigrizia che tutte le mie ex mi hanno sempre rimproverato, dice lui. Perché: quante ne hai avute?, chiede lei. La costanza che ci vuole per fidarsi.
Costanza come quella che ci vorrebbe per perdonare mio padre, dice lui.
Come quella che ci vorrebbe per smetterla di sperare che
mia madre cambi, dice lei.
Costanza: quella che ci vuole per riuscire ad abbandonarsi.
E però non abbandonare. Secondo te è possibile? gli chiede lei. Cosa? Tenere tutto insieme, dentro, il mito e la vita nel frattempo, quello che siamo stati e quello che sare-mo, quello che muore e quello che nasce. Secondo me sì, risponde lui.
Assolutamente sì.
Ma ci vuole costanza.
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"Uno dei tuoi molteplici problemi è che riesci a vivere l'amore e la felicità solo come fossero degli amanti, ma non ti fiderai mai abbastanza di loro per tenerli a casa con te,"
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"Te lo ricordi ancora?"
"Guarda qui."
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"Che cos"è?
"L'ho sempre tenuto con me, nel portafoglio: è lo schizzo di Pilù che hai disegnato per me sul tovagliolo della nostra
prima cena."
"3 ottobre 2008..."
"Lo credi davvero?"
"Cosa?"
"Che la nostra storia sia stata una malattia.
"Anche tu l'hai detto.
"Ma io ti ho sempre ringraziata per questo. Perché, secondo me, se non ti ammali così almeno una volta nella vita, sei proprio un fallito..
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"Te lo ricordavi?"
"Che cosa?"
"Che si potesse passare una notte senza dormire, ma non perché c'è un neonato che piange: perché sei tu che vuoi rimanere sveglio."
"No. Non me lo ricordavo.
"Nemmeno io."
"Sai?"
"Cosa."
"Forse per te è davvero arrivato il momento di dare un po di fiducia a quello che c'è.
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E soprattutto ti aspetto a Naxos, un'isola strana, dove le storie comin-ciano, passano, ma non si chiudono mai, perché c'è sempre qualcuno che si inventa un finale diverso e così tutto ricomincia da capo, come in un eterno presente.
Quello in cui ti auguro il più possibile di avere la sensazione di vivere, perché, anche se ogni tanto è faticoso, comunque ne vale la pena.
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Ma se sapessimo di che cosa abbiamo bisogno, non avremmo bisogno dell'amore.

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